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La privacy dei dati cerebrali

Che succede quando sono i pensieri a richiedere privacy?

Photo by Milad Fakurian / Unsplash

Ti trovi al Fundamental Artificial Intelligence Research di Meta, a Parigi. Sei stato selezionato insieme ad altri ventinove partecipanti per un esperimento che è stata l'unica cosa di cui hai parlato ai tuoi amici nelle ultime due settimane.

Sei seduto al centro di una stanza MEG, su di una poltrona bianca futuristica che si spalma in altezza fino al soffitto, una specie di colonna curviforme con uno spazio centrale per sedersi. Sopra di te vedi una cavità, probabilmente è dove ti chiederanno di posizionare la testa.

Entra un volto nuovo, diverso dalla persona che ti ha accolto all'ingresso, probabilmente uno dei tanti ricercatori della divisione. Ti chiede di posizionare la testa sotto la cavità e ti porge una tastiera per scrivere.

<<Quello che le chiediamo è molto semplice. Scriva su questa tastiera quello che ha fatto ieri o questa settimana, e se finisce le cose da dire, inizi a parlare di altro, qualsiasi cosa che le viene in mente>>.

Tu inizi a scrivere e dopo un po' ci prendi anche gusto. Non sai mai se stai facendo bene o se stai sbagliando qualcosa, ma vedi un paio di ricercatori che ti sorridono. Vai avanti così per due ore, poi torni il giorno dopo, e ripeti. L'esperimento continua per due settimane.

Il FAIR di Meta ha pubblicato settimana scorsa i risultati:

"Il nostro sistema ha decodificato con successo la produzione di frasi da registrazioni cerebrali non invasive, traducendo con precisione fino all'80% dei caratteri inseriti dai partecipanti e quindi ricostruendo spesso frasi complete esclusivamente da segnali cerebrali. In un secondo studio, stiamo descrivendo in dettaglio come l'intelligenza artificiale può anche aiutarci a comprendere questi segnali cerebrali e chiarire come il cervello trasforma efficacemente i pensieri in una sequenza di parole."

In parole povere, un insieme di tecniche avanzate di neuroimaging e deep learning, hanno tradotto in testo tutto ciò che stavi pensando prima di scrivere sulla tastiera. Per spiegartelo meglio, quasi tutto ciò che hai scritto non è stato letto a partire dalla tastiera ma dal tuo cervello. Nel frattempo un'intelligenza artificiale ha mappato come le immagini che visualizzi nella tua mente, diventano frasi, parole e sillabe.

Torni dai tuoi amici e racconti quanto folle sia stato quel macchinario, quella stanza, quelle due settimane. Hai cercato su Google e adesso puoi dire che si tratta di un apparecchio MEG (Magnetoencefalografia): un costosissimo misuratore dei campi magnetici del tuo cervello. È costosissimo perché per misurarli devi stare in una stanza che "blocca" i campi magnetici della terra, per ascoltare solo i tuoi.

Ancora non conosci i risultati, nessuno ti ha detto niente. Passano i mesi e una mattina un amico ti linka il paper di Meta: <<Ma era questo l'esperimento che hai fatto?>>

Apri il link e scopri che i risultati sono stati molto sopra le aspettative. Sapevi che ti avrebbero letto il pensiero ma ancora non sapevi quanto. Mentre leggi puoi sentire un po' di calore pervaderti il torace, sei stato uno dei primi tester, hai fatto un po' la storia, ma non puoi negare anche un piccolo brivido lungo la schiena: <<Erano nella mia testa.>>

Quello che può sembrare solo un grande esperimento andato bene, andato molto bene, apre un nuovo concetto, il concetto di "privacy cerebrale". Ad oggi queste tecnologie non sono criptate, significa che chiunque può intercettare i segnali neurali e con i giusti strumenti, tradurli in parole.

Oggi, con tecniche non invasive (MEG e EEG), quindi senza bisogno di impianti chirurgici, riusciamo a tradurre i pensieri in testo e addirittura possiamo mappare l'intera sequenza che va dall'idea alla parola. Domani, miglioreremo l'accuratezza e forse anche gli strumenti di lettura, forse non servirà più una stanza MEG. Forse quegli smart glasses che già ti fanno da assistente intelligente, potranno leggere le tue risposte prima ancora che tu le dica, ma qui entriamo nella speculazione.

Chiaro è che dovremo tutelarci. La neuro-tecnologia passa sempre prima dagli animali, poi aiuta le persone affette da gravi disabilità, ma quando i parametri sono "sicuri" arriva a tutti.

In un futuro tecnologico così invasivo potremmo riniziare a parlare di codice open source e di garanzie sulla crittografia dei dati, perché una privacy gestita solo da regole, come oggi, non è una privacy che basterà.

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