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Google perde il caso sul monopolio della tecnologia pubblicitaria

Imponeva ai publisher di far passare le loro aste attraverso il suo exchange per conoscere in anticipo le offerte rivali e batterle.

In breve:

Il DoJ USA ha vinto la causa antitrust contro Google nell’ad‑tech. La giudice Brinkema ha stabilito che, per oltre dieci anni, Google ha imposto ai publisher che usavano il suo ad‑server (DFP) di far passare le loro aste pubblicitarie prima attraverso il suo exchange (AdX): così AdX vedeva in anticipo tutte le offerte rivali e poteva batterle, chiudendo fuori gli altri exchange. Questa “vendita abbinata” viola le sezioni 1 e 2 dello Sherman Act e ha danneggiato editori e utenti. L’accusa di monopolio sulle reti pubblicitarie (un tema diverso) nel frattempo è stata respinta; Google farà ricorso.

Riassunto completo:

  • Il Dipartimento di Giustizia americano (DOJ) ha vinto una causa antitrust contro Google riguardante il settore della pubblicità online, accusando l'azienda di aver creato un monopolio nei server pubblicitari per editori e nelle piattaforme di scambio pubblicitario.
  • La giudice Leonie Brinkema ha stabilito che, per oltre dieci anni, Google ha imposto ai publisher che usavano il suo ad‑server (DFP) di far passare le loro aste pubblicitarie prima attraverso il suo exchange (AdX): così AdX vedeva in anticipo tutte le offerte rivali e poteva batterle, chiudendo fuori gli altri exchange.

Cos'è l'exchange (AdX)?

AdX (Google Ad Exchange) è il “mercato all’ingrosso” della pubblicità di Google: ogni impression, cioè la singola visualizzazione di uno spazio, viene messa all’asta in tempo reale fra migliaia di inserzionisti e piattaforme. L’exchange raccoglie le offerte, sceglie la più alta e comunica all’ad‑server quale annuncio servire, così l’editore ottiene il prezzo migliore. A differenza di AdSense (un solo “negozio” gestito da Google), AdX è aperto a molti intermediari, offre aste più trasparenti e consente anche accordi privati o preferenziali oltre all’asta aperta.

Cos'è un ad-server (DFP)?

Un ad‑server, nel caso di Google chiamato per anni DFP (DoubleClick for Publishers, oggi confluito in Google Ad Manager), è il “cervello” che gestisce la pubblicità online: l’editore inserisce nel sito spazi vuoti (“inventario”) e, quando un utente carica la pagina, l’ad‑server riceve la richiesta, analizza in pochi millisecondi tutte le campagne disponibili (budget, formato, pubblico, prezzo), sceglie l’annuncio più conveniente e lo consegna al browser. Oltre a decidere cosa mostrare, traccia quante volte l’annuncio appare (impression) o viene cliccato, prevede quanta pubblicità potrà servire in futuro e permette di vendere quegli spazi sia direttamente agli inserzionisti sia tramite aste automatiche (pubblicità programmatica).

  • Secondo la giudice, le pratiche anticoncorrenziali di Google hanno "danneggiato significativamente" editori e utenti web, legando server pubblicitari e piattaforme per oltre dieci anni in maniera illegale.
  • La giudice ha stabilito che Google è colpevole ai sensi delle sezioni 1 e 2 dello Sherman Act, respingendo però l'accusa di monopolio nella gestione delle reti pubblicitarie.
  • Google afferma che farà ricorso contro parte della decisione sostenendo che i suoi strumenti sono semplici, convenienti ed efficaci per gli editori, e sottolinea che metà della sentenza è stata a suo favore.
  • In una causa precedente relativa al monopolio delle ricerche web, Google aveva già subito dichiarazioni avverse da parte di un'altra corte americana.
  • Il Dipartimento di Giustizia, in un altro procedimento ancora in corso, ha proposto di dividere Google separando il browser Chrome e imponendo la distribuzione indipendente dei risultati di ricerca.

Questo testo è un riassunto del seguente articolo (eng):

Google loses ad tech monopoly case
A loss for Google.

Alternativa in italiano:

È iniziato il processo che potrebbe spezzare Google in due - Il Post
Il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha chiesto a un giudice federale di imporre all’azienda di vendere Chrome

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