Ho un amico che vive con un vecchio Nokia e se gli vuoi scrivere devi mandargli un SMS—è l'unica persona sul pianeta Terra a cui mando SMS e che mi ricorda della loro esistenza.
Scrivo questo editoriale perché ieri su Morning Tech abbiamo segnalato il preorder dell'ultima versione del Light Phone, questo dispositivo disegnato per combattere le distrazioni. Se dò un'occhiata ai founder, Joe Hollier e Kaiwei Tang, vedo un po' la mia generazione, quella generazione di trentenni che si ricorda cosa significa il mondo senza connessione a internet costante.
A quel mio amico con il Nokia ho sempre detto "Samu, privarti dei dispositivi per non diventare un automa è come non avere vino in casa per non diventare un alcolizzato"—lui ha sempre sorriso senza dare grosse risposte. Ho sempre apprezzato questo suo modo di fare, mi faceva capire che non aveva bandiere da sventolare e semplicemente era felice così.
Chissà se oggi lo comprerebbe un Light Phone, se glielo dicessi sono sicuro che mi sorriderebbe e forse mi direbbe anche di sì, ma poi continuerebbe ad usare quel vecchio Nokia.
Quello di cui voglio parlare è il mercato dell'attenzione.
I contenuti sono sempre esistiti, dal primo momento in cui la prima creatura ha raccontato la prima storia al mondo. E se decenni fa si trattava della TV o del cinema o di una rivista, oggi abbiamo dei mezzi molto più potenti.
Ma non sono i mezzi a fare la differenza, sono gli algoritmi, gli algoritmi proprio di quest'anno, il 2025. Quest'anno abbiamo visto uno shift poderoso verso la viralità, con il contenuto anteposto al creatore. Piattaforme come Instagram e TikTok stanno trasformando i follower in vanity metric e aprono le porte delle milioni di visualizzazioni a gente con pochissimo seguito—tipo me con questo video da 1.7 milioni di views tra TikTok e Instagram.
Quello che una volta dicevo a Samu, il mio amico con il Nokia, oggi è molto più complicato: non solo abbiamo un dispositivo sempre tra le mani, ma le stesse piattaforme valorizzano quei contenuti che catturano maggiormente la nostra attenzione, e quelle stesse piattaforme si addestrano su come catturare l'attenzione di ognuno, ognuno a modo diverso.
La risposta, per me, continua ad essere l'auto moderazione, sapersi frenare, ma se la situazione dovesse degenerare, sarebbe necessario un dibattito, proprio come c'è stato per la privacy dei dati personali, farne uno sull'attenzione, con la speranza però che non si concluda con un noiosissimo banner da accettare, che non legge nessuno—che non fosse insomma, uno specchietto per le allodole.
Se penso all'esperienza di lettura di un libro, trovo il modo forse più sano di fruire dei contenuti. I libri ti parlano e tu hai tempo per immaginare. Li chiamo spesso "slow content", ma all'altro opposto c'è il "fast content" dove la mia esperienza personale risulta un senso di "pilota automatico", come se attivassi una parte del cervello poco redditizia, facilmente malleabile, dove pianto, rabbia e risate riescono ad alternarsi nel giro di breve, dietro ordine di uno swipe.
Tuttavia, non è sempre il momento giusto per lo slow content, ed io onestamente apprezzo quella mezzoretta o quell'oretta di video anche stupidi. Basta esserne consapevoli.
Non sono un esperto, non sono in grado di parlare di che cosa accade al cervello quando si consuma troppo "fast content", ma posso confermare lo shift delle piattaforme verso una nuova era, un'era dell'attenzione.
Questo trend, questo nuovo mercato, è nato in Cina, con piattaforme diverse da TikTok che nemmeno conosciamo, ma è stata TikTok a "colonizzare" il resto del mondo. Oggi ci scandalizziamo di quanto la Cina non rispetti i dati personali ma quel mercato dell'attenzione, che è più sottile, più nascosto, che è alla portata di tutti e che crescerà insieme agli algoritmi, oggi compra la tua attenzione con la stessa fame con la quale comprerebbe i tuoi dati.
È un tema, secondo me, quello dell'attenzione, di cui inizieremo a parlare più spesso.